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Ho conosciuto Amandine sui sentieri “minati” del web; ci siamo date appuntamento di sera, in un caffè del centro, ognuna accompagnata dal marito, per un aperitivo e una cena. E’ così che ho scoperto questa donna gentile, parigina, trapiantata in California e ora in Italia, con un marito italiano che fa la spola tra Genova e gli Stati Uniti.
In lei ho scoperto un’artista sensibile e raffinata, che ha saputo emozionarmi.
Se entrate nello spazio di Clelia Belgrado, nel centro storico di Genova, in questo inizio d’autunno 2013, trovate una mostra molto particolare, dal titolo “Voyage (en train)”; è la sua ultima creazione.
Si tratta di una serie di immagini fotografiche, quasi completamente astratte perché scattate da un treno in corsa, montate su un telaio d’ottone costituito da due antine che si aprono a scorrimento laterale, come le porte degli scompartimenti in legno delle vecchie locomotive a vagoni, delle quali imitano persino il rumore, nell’attrito del metallo sul metallo. Una volta aperte scoprono un piano più profondo dove si apre un altro paesaggio, dai contorni più definiti e dall’orizzonte più lontano nello spazio e più profondo nel tempo. Sono filari di gelsi che si stagliano sulla pianura innevata, covoni di fieno disseminati nei campi, tralicci che si allungano in un cielo grigio invernale con i loro isolanti di maiolica bianca appesi ai fili, e ancora altri paesaggi che potrebbero essere ovunque, indefiniti e familiari nello stesso tempo; gli stessi che hanno attraversato l’infanzia della mia generazione, in un angolo qualsiasi dell’Europa continentale.
Nell’Europa continentale l’artista nasce, a Bordeaux, e vive, a Parigi, dove studia linguistica all’università, viaggia e lavora fino all’età di 33 anni, quando, insieme al marito, un ricercatore italiano, si trasferisce negli Stati Uniti.
Il padre, fotografo, le ha trasmesso l’amore e il sapere per la fotografia – che fa parte integrante del suo percorso – ma dopo l’esperienza americana, l’Accademia di Belle Arti e i corsi di fotografia, è nel libro che l’artista trova la sua cifra espressiva e, più recentemente, in un libro/quadro che si propone il non facile obiettivo di creare maggiore integrazione, un unicum tra l’immagine e la storia.
Le opere di questa mostra non sono quadri ma libri – “libri d’artista” appesi al muro – che fanno pensare all’intento di raccontare una storia molto più che a quello di mostrare delle immagini; non a caso Nabarra Piomelli, ha scelto proprio il libro d’artista quale veicolo peculiare del suo messaggio artistico.
Se nell’accezione più tradizionale il libro d’artista si fonda sulla contaminazione linguistica tra oggetto, scrittura ed immagine, in questa mostra vediamo libri che esprimono, accattivanti come quadri – o, se preferite, quadri che raccontano, espliciti come libri – senza un rigo di scrittura, senza bisogno di spiegazioni, anzi, in silenzio!
Ci vuole un po’ di silenzio per aprire e richiudere ogni libro appeso, ascoltare il rumore di ferraglie e lasciarsi condurre attraverso l’imbocco di una galleria – del treno del tempo – fino allo sbocco sullo sfondo, per assaporare il paesaggio inespresso dalla parte opposta, dove ognuno può ascoltare il suono della poesia che gli appartiene.
Così mi si rivela all’improvviso perché l’artista abbia voluto mettere tra parentesi, nel titolo della mostra – Il Voyage (en train) – il treno, separando perfino visivamente due locuzioni che abitualmente vanno in coppia. Perché il voyage, descritto sul primo piano delle antine del libro attraverso le fotografie in movimento non riguarda il percorrere una distanza fisica con un mezzo di trasporto ma lo scorrere frenetico di una vita “globalizzata” – tale è quella dell’artista – mentre il treno diventa paradossalmente il simbolo della stanzialità, di una radice lontana e profonda, in questa vecchia e cara Europa sonnolenta, che l’artista osserva e “sente” dall’altra parte del mondo.
L’ama da lontano.
Allora lo spazio e il tempo della poesia – l’arte – diventano il luogo privilegiato delle radici, il deposito di un’identità minacciata dalla perdita dei confini. Il treno e il suo itinerario diventano allora l’orizzonte rassicurante del risveglio mattutino, il luogo dell’essere “tempo”, la culla dove le giuste proporzioni tra le contingenze della vita reale e i bisogni dell’anima possono coesistere.
Genova, 12 ottobre 2013 – Margherita Levo Rosenberg
Voyages (en train): Libro d’artista – Livre d’artiste – Artist’s book
Voyages (en train): Dittici – Diptyques – Diptychs
Voyages (en train): Installazione – Installation – Installation